Sunday, November 26, 2006

Ragazze sulla riva della Senna


Atelier


Funerale ad Ornans


Spaccapietre


Autoritratto con cane nero


Il signor Courbet, suppongo...

La centralità dell’opera di Courbet, nel panorama pittorico dell’ottocento, da un lato lo qualifica come uno dei maestri del realismo e precursore delle istanze impressioniste, dall’altro lato (solo marginalmente a causa del suo coinvolgimento nelle vicende della Comune) gli impedì di avere dei veri e propri eredi. L’eterogeneità dei temi trattati e la tecnica pittorica, a cavallo tra quella dei “neoclassici” e quella degli impressionisti veri e propri, fecero di Courbet un “apax”, un “unicum” nel novero dei pittori francesi del suo tempo.
Nasce nella Franca Contea, ai piedi del Giura nel 1819, ad Ornans, che tante volte tornerà nei soggetti delle sue opere. Talento precoce studia a Besançon, e nel ’39 si reca a Parigi, dove segue l’attività dei vari atelier e copia le opere dei maestri, esposte al Louvre.
Nel ’42 produce una delle prime opere importanti, “L’autoritratto con cane nero” (primo di una serie di autoritratti), che solo due anni dopo sarà ammessa al Salon, la vetrina più importante per i pittori del tempo. Non sempre le sue opere saranno ben considerate, anzi spesso verranno rifiutate proprio per le novità linguistiche e tematiche proposte da Courbet. Nel ’47, in Olanda, ha modo di ammirare le opere dei maestri olandesi, Rembrandt in particolare, che tanto influiranno sulla sua opera. Nel ’49 ad Ornans dipinge “Gli spaccapietre”, distrutto a Dresda durante la seconda guerra mondiale.
Il “socialismo” ingenuo di Courbet si sostanzia in opere, come questa, in cui la fatica del lavoro, la povertà, la durezza dell’esistenza si uniscono ad una esigenza allegorica nella quale il ritratto di tipo realista si solleva fino a rappresentare tutto un mondo, quello contadino e operaio, nel quale lo “struggle for life” acquista significato universale. L’impostazione particolare della composizione, giocata sulla diagonale e sui due personaggi in una posa spontanea e volutamente poco “tradizionale”, risente già delle prime immagini fotografiche.
Allo stesso modo, poco dopo, nella “Sepoltura ad Ornans” (1849-1850) l’impostazione forzatamente orizzontale, con la lunga teoria di partecipanti all’evento che riempie tutta la fascia centrale (che ricorda, per contrasto, “La sepoltura del conte di Orgaz” del Greco, che ha invece un forte sviluppo in verticale) ricorda davvero le pose fotografiche e, come è stato detto, si potrebbe dare ad ognuno dei ritratti un nome ben preciso.
La monumentalità dell’opera, in contrasto con la “normalità” e la quotidianità dell’evento, fecero gridare allo scandalo coloro i quali ritenevano che le grandi opere dovevano essere soltanto quelle con soggetti importanti, storici o religiosi, riservate quindi a momenti determinanti nella vicenda umana. Da Comte in poi, con l’avvento del positivismo, anche gli aspetti secondari della realtà assurgevano a dignità “scientifica”. E il realismo courbetiano è sicuramente figlio di questo stato di cose, nonostante un velo di “romanticismo” permanga nella sua pittura, fondendosi con gli spunti realistici.
Il desiderio di gratificazione e la voglia di pubblico riconoscimento raggiungono uno degli apici della pittura di Courbet nell’”Atelier”, del 1854-55.
Al centro di tutto il pittore che, allegoricamente, viene assistito dalla sua musa mentre dipinge un paesaggio della sua terra natale, sulla destra amici, conoscenti e sodali (tra questi Proudhon e Baudelaire) che sostengono e comprendono il pittore e le sue necessità artistiche e umane. Sulla parte sinistra invece, secondo una definizione che diede lo steso Courbet, “la gente che vive della morte”, cioè quelli che per scelta, convinzione o necessità si fermano agli aspetti materiali della vita e non vedono oltre (tra questi una madre che allatta un bambino e un mercante ebreo, che sono dei ritratti di soggetti che Courbet vide davvero a Londra).
Opera tanto ambiziosa che Courbet fu costretto ad esporla in un padiglione del realismo, appositamente realizzato, essendo stata rifiutata al Salon.
In un’altra opera, di poco posteriore, altrettanto scandalosa, le “Ragazze sulla riva della Senna” del 1856-1857, anch’esso presentato al Salon, nel ’57, vengono ritratte “en plein air” due donne, mollemente adagiate sull’erba, in riva alla Senna, semivestita (quella in primo piano) e con lo sguardo lontano la seconda, immerse in un caldo pomeriggio estivo.
I volti, le piante e i fiori, i vestiti sono descritti con suprema abilità pittorica e gli aspetti sui quali ci soffermiamo noi oggi (la grande qualità dell’immagine) all’epoca passarono in secondo piano per la superficialità del soggetto: due donne di facili costumi che, per il solo fatto di essere state ritratte, infrangevano (come in altre opere di Courbet) i tabù e le restrizioni imposte all’epoca dalla società dei benpensanti. Allo stesso tempo collezionisti più spregiudicati, o più avveduti, commissionarono altre opere di soggetto simile a Courbet il quale, negli anni successivi al suo coinvolgimento nelle vicende della Comune parigina, dal 1871 alla morte (1877), non solo sarà costretto all’esilio ma produrrà opere molto meno appariscenti (paesaggi, marine, nature morte) affidate in buona parte agli allievi ( limitandosi spesso a pochi ritocchi e alla firma) continuando comunque ad essere per chi venne dopo un punto di riferimento sia per la sua tecnica che per la varietà dei suoi soggetti