Wednesday, January 31, 2007

San Sebastiano


San Gerolamo


Crocefissione


Annunziata


Pala San Cassiano


Tuesday, January 30, 2007

Antonellus De Antonio

Antonello nasce intorno al 1430 a Messina, città cosmopolita, multi-culturale, ricca per i commerci, la seconda per numero di abitanti, dopo Palermo, della Sicilia in quel periodo, e con legami molto stretti con la cultura napoletano-aragonese dell’epoca. Il lavoro del padre Giovanni d’Antonio (Antonius de Antonio è il nome di Antonello nei documenti d’epoca, mentre egli amerà firmarsi, nei cartigli dei quadri, Antonellus messaneus), attivo nel campo artistico-artigianale (“maczonus”, cioè maestro della pietra e del marmo) indirizza già Antonello verso quello che diventerà il suo mestiere. L’apprendistato lo vede alla corte napoletana di Alfonso il Magnanimo, alla bottega di Colantonio, presso la quale, oltre ad apprendere i rudimenti della pittura, ha la possibilità di entrare in contatto con le componenti artistiche più importanti dell’epoca. Petrus Christus, Van Eyck, Barthelemy d’Eyck, Enguerrand Guerron, Jean Fouquet, Hans Memling sono i nomi dei pittori di scuola fiamminga o provenzale che più spesso sono state accostati ad Antonello per analogie tra le opere del pittore siciliano e le loro. La minuzia nei particolari, un certo gusto per il realismo che ritroviamo nei ritratti e negli splendidi paesaggi, testimoniano di un apprendistato ideale che ha addirittura fatto ritenere probabile un viaggio di studio di Antonello oltralpe. Di certo già a metà degli anni ’50 aveva bottega a Messina e i desideri della committenza lo porteranno nel cuore della pittura dell’epoca. Certamente fu a Venezia, ma altri particolari ci fanno ritenere probabile un suo passaggio da Firenze e da Milano. La conoscenza delle opere di Piero della Francesca e dei pittori che gravitavano nell’orbita veneziana, ne fanno da un lato un precursore (la tradizione antica lo vuole il primo pittore ad olio italiano) dall’altro un attento osservatore delle opere dei contemporanei (vedi Giovanni Bellini) tanto che oggi risulta per noi difficile capire se certe iconografie e certe idee compositive lo vedano iniziatore o prosecutore di idee altrui. Proprio questo ricorso alla descrittività minuziosa dei fiamminghi unita al senso della solennità monumentale della pittura italiana, nonché la particolare sensibilità artistica nel cogliere le novità del suo tempo e i gusti della clientela fecero si che sue opere erano sparse per tutta la penisola anche se oggi il numero delle opere certamente autografe è notevolmente ridotto. Al ritorno a Messina, negli anni ’70 (muore nel ’79), l’attività della bottega è ancora fiorente, e alla sua morte il figlio e i nipoti continueranno il suo lavoro senza eguagliare mai, comunque, le vette del maestro.

Alcune sue opere possono essere considerate ancora oggi capolavori, per altre il tempo e circostanze sfavorevoli ci impediscono una lettura corretta. La pala di San Cassiano conservata a Vienna, ad esempio, ci è pervenuta mutila dell’impianto architettonico e di alcuni personaggi e ci riesce difficile vederla oggi come il primo esempio (siamo intorno al 1475) di sacra conversazione all’interno di un solido impianto architettonico e monumentale (c’è qui il ricordo delle opere di Piero e allo stesso tempo vengono colte le novità che va introducendo Giovanni Bellini).
Le crocifissioni (Anversa, Londra, Bucarest) sono inserite nel contesto della tradizione nordica fiamminga (“ponentina”, come si diceva allora) ma risentono anche, sul versante italiano, della scultura di un Pollaiolo (vedi le contorsioni dei ladroni di Anversa e l’Ercole e Anteo al Bargello).

A parte la composta posa della Madonna palermitana, la cosiddetta Annunziata ( col suo perfetto ovale pierfrancescano unito ad un sorriso , quasi ironico, appena accennato e a quella mano che buca lo spazio immaginario e quel leggio che conferisce ulteriore tridimensionalità), le due opere simbolo (per non parlare dei celebri ritratti e delle splendide pietà) della pittura di Antonello sono certamente il San Girolamo nello studio della National Gallery e il San Sebastiano di Dresda.

Sunday, November 26, 2006

Ragazze sulla riva della Senna


Atelier


Funerale ad Ornans


Spaccapietre


Autoritratto con cane nero


Il signor Courbet, suppongo...

La centralità dell’opera di Courbet, nel panorama pittorico dell’ottocento, da un lato lo qualifica come uno dei maestri del realismo e precursore delle istanze impressioniste, dall’altro lato (solo marginalmente a causa del suo coinvolgimento nelle vicende della Comune) gli impedì di avere dei veri e propri eredi. L’eterogeneità dei temi trattati e la tecnica pittorica, a cavallo tra quella dei “neoclassici” e quella degli impressionisti veri e propri, fecero di Courbet un “apax”, un “unicum” nel novero dei pittori francesi del suo tempo.
Nasce nella Franca Contea, ai piedi del Giura nel 1819, ad Ornans, che tante volte tornerà nei soggetti delle sue opere. Talento precoce studia a Besançon, e nel ’39 si reca a Parigi, dove segue l’attività dei vari atelier e copia le opere dei maestri, esposte al Louvre.
Nel ’42 produce una delle prime opere importanti, “L’autoritratto con cane nero” (primo di una serie di autoritratti), che solo due anni dopo sarà ammessa al Salon, la vetrina più importante per i pittori del tempo. Non sempre le sue opere saranno ben considerate, anzi spesso verranno rifiutate proprio per le novità linguistiche e tematiche proposte da Courbet. Nel ’47, in Olanda, ha modo di ammirare le opere dei maestri olandesi, Rembrandt in particolare, che tanto influiranno sulla sua opera. Nel ’49 ad Ornans dipinge “Gli spaccapietre”, distrutto a Dresda durante la seconda guerra mondiale.
Il “socialismo” ingenuo di Courbet si sostanzia in opere, come questa, in cui la fatica del lavoro, la povertà, la durezza dell’esistenza si uniscono ad una esigenza allegorica nella quale il ritratto di tipo realista si solleva fino a rappresentare tutto un mondo, quello contadino e operaio, nel quale lo “struggle for life” acquista significato universale. L’impostazione particolare della composizione, giocata sulla diagonale e sui due personaggi in una posa spontanea e volutamente poco “tradizionale”, risente già delle prime immagini fotografiche.
Allo stesso modo, poco dopo, nella “Sepoltura ad Ornans” (1849-1850) l’impostazione forzatamente orizzontale, con la lunga teoria di partecipanti all’evento che riempie tutta la fascia centrale (che ricorda, per contrasto, “La sepoltura del conte di Orgaz” del Greco, che ha invece un forte sviluppo in verticale) ricorda davvero le pose fotografiche e, come è stato detto, si potrebbe dare ad ognuno dei ritratti un nome ben preciso.
La monumentalità dell’opera, in contrasto con la “normalità” e la quotidianità dell’evento, fecero gridare allo scandalo coloro i quali ritenevano che le grandi opere dovevano essere soltanto quelle con soggetti importanti, storici o religiosi, riservate quindi a momenti determinanti nella vicenda umana. Da Comte in poi, con l’avvento del positivismo, anche gli aspetti secondari della realtà assurgevano a dignità “scientifica”. E il realismo courbetiano è sicuramente figlio di questo stato di cose, nonostante un velo di “romanticismo” permanga nella sua pittura, fondendosi con gli spunti realistici.
Il desiderio di gratificazione e la voglia di pubblico riconoscimento raggiungono uno degli apici della pittura di Courbet nell’”Atelier”, del 1854-55.
Al centro di tutto il pittore che, allegoricamente, viene assistito dalla sua musa mentre dipinge un paesaggio della sua terra natale, sulla destra amici, conoscenti e sodali (tra questi Proudhon e Baudelaire) che sostengono e comprendono il pittore e le sue necessità artistiche e umane. Sulla parte sinistra invece, secondo una definizione che diede lo steso Courbet, “la gente che vive della morte”, cioè quelli che per scelta, convinzione o necessità si fermano agli aspetti materiali della vita e non vedono oltre (tra questi una madre che allatta un bambino e un mercante ebreo, che sono dei ritratti di soggetti che Courbet vide davvero a Londra).
Opera tanto ambiziosa che Courbet fu costretto ad esporla in un padiglione del realismo, appositamente realizzato, essendo stata rifiutata al Salon.
In un’altra opera, di poco posteriore, altrettanto scandalosa, le “Ragazze sulla riva della Senna” del 1856-1857, anch’esso presentato al Salon, nel ’57, vengono ritratte “en plein air” due donne, mollemente adagiate sull’erba, in riva alla Senna, semivestita (quella in primo piano) e con lo sguardo lontano la seconda, immerse in un caldo pomeriggio estivo.
I volti, le piante e i fiori, i vestiti sono descritti con suprema abilità pittorica e gli aspetti sui quali ci soffermiamo noi oggi (la grande qualità dell’immagine) all’epoca passarono in secondo piano per la superficialità del soggetto: due donne di facili costumi che, per il solo fatto di essere state ritratte, infrangevano (come in altre opere di Courbet) i tabù e le restrizioni imposte all’epoca dalla società dei benpensanti. Allo stesso tempo collezionisti più spregiudicati, o più avveduti, commissionarono altre opere di soggetto simile a Courbet il quale, negli anni successivi al suo coinvolgimento nelle vicende della Comune parigina, dal 1871 alla morte (1877), non solo sarà costretto all’esilio ma produrrà opere molto meno appariscenti (paesaggi, marine, nature morte) affidate in buona parte agli allievi ( limitandosi spesso a pochi ritocchi e alla firma) continuando comunque ad essere per chi venne dopo un punto di riferimento sia per la sua tecnica che per la varietà dei suoi soggetti

Wednesday, October 25, 2006

Resurrezione di Lazzaro

Guercino

Negli anni tra il 1618 e il 1621, a breve distanza temporale e artistica dal Caravaggio e da Carracci, fiorisce l'arte di G.F. Barbieri detto Guercino, che contende a Guido Reni l'eredità dei due pittori più importanti del barocco italiano. Continuatore di una linea già tracciata, Guercino comunque si afferma perchè il mero richiamo caravaggesco all'uso del chiaroscuro si unisce ad una maggiore concitazione nella gestualità dei personaggi, il ricorso a più fonti luminose, grande attenzione per il paesaggio, strutture compositive meno ristrette. Le opere della maturità raggiunta sono frutto delle commissioni del cardinale Serra, legato di Ferrara ed hanno temi adatti alla bisogna: Sansone e i filistei, San Sebastiano ferito, Erminia e Tancredi e questa Resurrezione di Lazzaro del 1619, conservata al Louvre, che non ha proprio nulla da spartire con la tela dello stesso soggetto dipinta da Caravaggio a Messina dieci anni prima.

Pietro

Saulo

Assunta Cerasi

Tuesday, October 24, 2006

Carracci

A poche centinaia di metri di distanza da San Luigi, negli stessi anni viene commissionata ad Annibale Carracci una tela per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. L'esatta cronologia dell'opera è discussa ma gli anni sono più o meno gli stessi (tra il 1599 e il 1602) in cui Caravaggio inizia ad affermarsi a Roma e si unisce, nella fama, al trio di pittori allora in voga: Carracci, Zuccari e il cavalier d'Arpino, già suo maestro. L'Assunta di Carracci risente di molti influssi: certamente Tiziano (l'Assunta dei Frari) ma anche il Raffaello della Trasfigurazione, ad esempio. L'"accademia" si unisce alle capacità coloristiche di altre scuole, tutte quelle che il bolognese Carracci fonde e compendia. Un po' la stessa cosa che succede a Caravaggio (che del Carracci ammirò, ad esempio, la Santa Margherita nella chiesa dei Funari), ma in Caravaggio la scuola è celata dalle tante novità che propone mentre in Carracci la tradizione è esibita e palese. Guarda caso questo è l'unico posto che ospita, da più di 400 anni, opere dell'uno e dell'altro in uno spazio ristretto e non sapremo mai, forse, che tipo di collaborazione ci sia stata tra i due, se mai ve ne fu.

San Matteo e l'angelo e Vocazione

Martirio

Vocazione

Cointrel

La prima commissione pubblica importante, sotto l'ala protettrice di mecenati altolocati, come il cardinale Del Monte. Agli albori del secolo, nel cuore della città eterna. Oltretutto è la prima opera di argomento sacro che affronta. Le radiografie dei due quadri laterali, il Martirio di San Matteo e la Vocazione, dimostrano come più volte Caravaggio cambiò idea sull'aspetto definitivo dell'opera e che i cambiamenti, in corso d'opera, appunto, furono radicali. Così come la seconda versione del quadro centrale, col San Matteo e l'angelo, differisce notevolmente dalla prima. Questo testimonia di una inesauribile inventiva dell'autore e allo stesso tempo di una buona conoscenza della materia e cioè degli artisti della sua generazione come pure di quelli della generazione precedente. Se ci si aggiunge che la cultura lombarda e veneta erano alla base della sua formazione pre-romana si capisce come il Merisi non poteva che fiorire in quel momento e in quel luogo. Lì, a Roma, nella cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. Nel 1600.

Wednesday, October 11, 2006

Caravaggio, ovviamente...

Ovviamente Caravaggio. Perchè? Perchè è un punto di partenza e di arrivo per chi si trova a parlare e discutere di arte. Il prototipo dell'artista moderno, spregiudicato, che anticipa scelte artistiche e tecniche dei secoli successivi, senza dimenticare la forza e il confronto, necessario, con la tradizione e la contemporaneità. Si parte da qui e forse, alla fine, qui si tornerà. A San Luigi dei Francesi, all'inizio del XVII secolo.